In un cocente pomeriggio d’Agosto, mai domo e mai sazio di conoscenza “enoica”, sfidando l’afa sicula sempre più tenace e caparbia negli ultimi anni, vado a Pachino, a chiacchierare con Salvatore, detto Turi Marino, viticoltore e produttore di vino e non solo, conoscitore del proprio suolo e di ciò che ha regalato e di conseguenza possa donare.
L’accoglienza è eccezionale, ti senti a casa, respiri sensazioni piacevoli, percepisci ospitalità e tranquillità, nonostante la vendemmia sia vicina, anticipata, il che per definizione porta timori, trepidazione, apprensione.
Immersi tra le vigne, tra gli ulivi, mandorle, carrubi, tra i canneti, a parlare di terra, di uva, di cicli, di cura della pianta e del suolo, a trascorrere del tempo bello e di crescita, a prendere appunti, a scrivere ciò che le mani e la testa di un agricoltore ti racconta, ad assumere per proprietà transitiva il suo coraggio e le sue paure, di produttore in un posto complesso, meraviglioso, a volte austero e per questo strepitoso.
7 ettari di vigna, 25000 bottiglie, nero d’Avola, Syrah, Catarratto.
Fermentazione con piede di lieviti indigeni, nessuna filtrazione, nessuna chiarifica, interventi minimi in campo e in cantina, solo le mani, la testa e la mente per raccontare un luogo e la propria storia.
Con questi presupposti, ci si appresta ad assaggiare, a degustare quello che quelle vigne, condotte da Salvatore, sono in grado di dare, accompagnate dal taglio, alla pigiatura, alla fermentazione, passando per il cemento, acquisendo forza, carattere, materia.
Si inizia con il catarratto con 5 giorni di macerazione, dotato di un naso fresco, citrino, erbaceo e una beva decisa e precisa.
Il rosato che sfiora la pressa, e trascorre una notte alla giusta temperatura, che si presenta, comunque con un colore deciso e concreto, che dona toni fruttati e floreali tra ciliegia e sbuffi di amaretto, per un sorso sempre polposo e succoso.
Turi rosso Doc eloro sottozona pachino
Nero d avola e 5 % di pignatello, 6 gg macerazione, una lunga sapidità, tannino deciso e leggermente ruvido, fresco e con finale di liquirizia e macchia mediterranea e una blsamicità e un salmastro dato dal territorio circondato tra due mari.
Si chiude questa carellata di Sicilia, con un liquoroso da moscato iniziato nel 1993 insieme a suo padre e pronto per essere stappato ora, dopo la sosta, dopo il giusto tempo, dopo averlo curato con premura e attenzioni e un vermouth, fatto con le essenze siciliane, arancia, finocchietto selvatico tra le altre e partendo dalla ricetta, dalla storia, dalla tradizione: 16 gradi di sapisità, di aromaticità, di profumi mediterranei
Si continua a chiacchierare e lo si potrebbe fare per ore, della difficoltà di vinificare il syrah, veloce, immediato, che si fa subito attrarre dal caldo, che matura velocemente, senza pensarci e che se lo lasci ad “abbronzarsi” al sole in pochissimo acquisisce calore, potenziale, materia.
Purezza, materia, frutto, senza fronzoli, beva pronta e diretta, con tanto volume che permane al palato il filo conduttore della chiacchierata e della bevuta.
Un paio d’ore immersi nella natura, a parlare di agricoltura , bella sicuramente, ma complicata e delicata, fatta di doveri e qualche piacere, tante soddisfazioni in una cornice speciale e strepitosa, sgualcita dal vento, riscaldata dal sole e resa meravigliosa dalle mani, la testa e il cuore della gente che la coltiva, accoglie, raccoglie e porta nel calice, in bottiglia, nelle case delle persone..
Una cartolina diluita nel vino, della Sicilia: bella, sincera, schietta, vera.