Ci sono conoscenze nate in modo virtuale, soprattutto ai tempi della pandemia, che senti la necessità di toccare con mano, perchè il loro valor umano e professionale è già tangibile in formato digitale, quindi sei certo che incontrandoli proverai una vera emozione.

E’ quello che mi è accaduto con Linda Finotto, Nicola Vicino e di Daniele Rigo, consulente, enologo, amico, libero di esprimersi totalmente e di far esprimere al meglio il territorio e la materia prima che Linda e Nicola gli consegnano.

Terre grosse: laboratorio territoriale sempre in fermento, massa sempre in agitazione!

E’ per me un piacere ed un vero onore poter disquisire di vino con Daniele, Nicola e Linda , circondato da anfore, tini, fermentini.

Parlare di enologia, di pedografia, di ampelografia, di esperienza territoriale, di buone pratiche agricole, per me è un master che non ha prezzo, cerco di assimilare quanto più possibile e come il cappello delle vinacce, cerco di non far andare via neanche la più piccola delle informazioni, per me tesoro inestimabile.

Il loro è realmente un luogo di esperimenti, di ricerca, di innovazione ed evoluzione. Mai stanchi, mai domi, sempre curiosi e incuriositi dagli esiti dei vari tentativi e sempre desiderosi di migliorare e migliorarsi.

Le prove sono ponderate e non sono improvvisazioni, ma sono pensati, studiati e poi sono utilizzati come indicazioni, come tasselli per ottenere il puzzle perfetto o avvicinarsi il più possibile.

Dalla conversione in biologico, al rispetto della terra e del risultato finale, dall’assenza di chiarifiche e filtrazioni, all’uso delle anfore, ai tempi di sosta sulle bucce, è tutto studiato, seguito passo passo, minuziosamente per avere un risultato sempre migliore.

Terra grossa, tutto inizia da li!

Si dice che il buon vino si faccia dalla vigna, e che sia necessario l’equilibrio con la terra e con l’uomo, qui a terre grosse ritrovo perfettamente tutto questo.

La dedizione, la passione con cui Nicola, mi racconta della tessitura di quel terreno, che poi ha dato il nome all’azienda, di come le radici possano adattarsi a questo scheletro così massiccio e come poi si crei simbiosi con la terra, è rappresentativa del loro credo e del loro modo di fare agricoltura.

Passeggiare tra i vigneti inerbiti, floridi in base al loro dna e all’ambiente che li circonda per me era ritrovare, toccare con mano, quello che sempre si dice e che si racconta, ma che in questo caso è pura e meravigliosa realtà.

Risanare piantine, ritrovare delle varietà da codificare come il pinot grigio matto, allevare vigne resistenti e resilienti alle malattie, ideare una stazione meteorologica che valuti la superficie fogliare, che utilizzi sensori al suolo, generare modelli previsionali, poter contare sulle dita di una mano ( senza utilizzarle tutte) i trattamenti in campo, vinificare in anfore di dimensioni diverse, sono solo alcuni dei gesti che descrivono Linda e tutta la squadra di terre grosse.

Quando dietro un calice c’è tutto questo, il bicchiere non mentirà e mentre lo si berrà, si potranno tradurre le azioni di chi lo ha coltivato, le premure dedicate, le attese spasmodiche e ricche di ansia delle primavere in campo e del successivo lavoro in cantina.

Un vino fatta da gente genuina, è a sua volta schietto, diretto, ma anche tanto complesso, con tanto carattere, tenace e caparbio nei profumi e sapori e nella sua intera trama gustativa.

Assaggi distinti, concreti, identitari, territoriali, eclettici ed equilibrati allo stesso tempo!

Dopo aver tastato il terreno con gli scarponi che lasciano le loro orme nel suolo e aver assaggiato gli acini e respirato l’aria veneta, non mi resta che degustare direttamente dalle vasche e dalle anfore.

Sento i profumi sublimi del grapariol che sarà la base per il rifermentato col fondo, mi imbatto in una glera macerata 7 giorni, nel manzoni bianco che conviverà con le anfore, i vini da varietà resistenti dotate di aromaticità, freschezza, mineralità, il pinot grigio che con una intensa macerazione si sgretolerà nel calice con una tonalità, decisa, caratteriale.

Poi si passa alle bottiglie, al lavoro conservato, custodito nel vetro, come i messaggi che si mettono nelle mani di una bottiglia e del mare e che si è certi faranno realizzare i propri sogni.

𝗴𝗿𝗮𝗽𝗮𝗿𝗶𝗼𝗹 𝗰𝗼𝗹 𝗳𝗼𝗻𝗱𝗼 𝗲 𝗮𝗻𝗰𝗲𝘀𝘁𝗿𝗮𝗹𝗲 𝗱𝗮 𝗿𝗮𝗯𝗼𝘀𝗼, diverse tecniche, differenti vitigni, per vini che sono dinamici nella carezza carbonica, nella carica olfattiva sapida e fresca, che usando il fondo generato in modo diverso, ne amplificano i profumi, più esotici e intensi i primi, più ghiotti, fruttati quelli da raboso. Quest’ultimo usufruisce della sua “rabbia acida” per detonare nella bottiglia e determinare un sorso lungo e persistente.

Continuiamo con  il  𝗰𝗼𝗻𝗰𝗿𝗲𝘁𝗼 𝟮𝟬𝟮𝟬 incrocio manzoni macerato in anfora, un tripudio di profumi, tanto goloso e sapido, con tanta carica gustativa.

Il 𝗱𝗶𝘀𝘁𝗶𝗻𝘁𝗼 𝟮𝟬𝟮𝟬 da varietà resistenti, dinamico, armonico tra le diverse sinfonie di vitigni differenti per aromaticità e gusto, ma perfettamente incastonati l’un l’altro.

𝗯𝗿𝗮𝗺𝗮𝘁𝗼 𝟮𝟬𝟮𝟬 il pinot grigio, tanto atteso, sospirato, prepotentemente identitario, per colore, gusto, sapore, tenacia gustativa.

Terminiamo con il 𝗗𝗶𝗲𝗴𝗼 𝟮𝟬𝟭𝟲, il nome che tira i confini generazionali, che racconta gli inizi, che traccia i solchi del futuro da seguire.

Il raboso che affila le sue armi in legno grande, che deriva da vendemmia selezionata, che viene curato e coccolato.

Il bicchiere è esplosivo, materico, tra profumi di viola e ciliegia che confluiscono in un sorso voluminoso, tridimensionale, caparbio, succulento.

Si giunge ai saluti, sicuramente un arrivederci, certo di scoprire sempre cose nuove grazie a vignaioli dediti, premurosi, tenaci, coraggiosi!

Siamo ai saluti, c’è poca nostalgia, perchè sono certo che continuerò a confrontarmi con Linda, Nicola e Daniele.

Sicuro di tornare a trovarli, per calpestare i loro grossi suoli inerbiti, per vedere e assaggiare nuovi vini, nuovi esperimenti calcolati.

Certo di trovarli a qualche fiera di vignaioli impenitenti, testardi che non rispondono alle leggi del mercato, ma che producono per il piacere di farlo, per passione, per desiderio di dare voce al territorio e al loro lavoro.

Sono questi gli incontri che ti fanno stare bene, che ti fanno stare a casa, anche a 1000 km di distanza, che ti fanno approfondire quanto letto sui libri, che ti arricchiscono.

Di solito chiedo ai vignaioli quando ci congediamo, quali siano i loro prossimi obiettivi, le loro future idee, in questo caso non lo chiedo, perchè già immagino Daniele in cantina a fare rimontaggi, follatura, ad assaggiare, a maneggiare tini, attrezzature, ad accarezzare le anfore.

Intravedo tra le erbe spontanee e dietro la capannina meteo Nicola che parla con la pianta e ne traduce il suo stato d’animo fotografandone ogni istante, ogni attimo per determinare il suo momento di salute.

Vedo Linda che come una mamma premurosa, segue tutto, è il trait d’union tra i vari processi, le diverse attività.

La vedo comunicare, col suo sorriso umile ,imperterrito, coinvolgente che racconta, si racconta, che narra di una storia che inizia da una terra grossa, ostinata e che si protrarrà nel tempo, lasciandone le orme nell’argilla, sostegno e guida per le generazioni future e racconto di un presente che sarà!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Terre grosse l’amore per il proprio lavoro, la voglia di fare emergere il valore di un territorio!

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