Alla ricerca di quello che non è omologazione, cose che sembrano al di fuori della normalità, per questo più complesse da scovare, da dover setacciare attentamente nella massa del conformismo di pratiche colturali e culturali, mi imbatto in questa piccola realtà, al di là del nome, fatta di solide convinzioni e desideri da premere e tramutare in realtà enologica.
Così, in un afoso pomeriggio di Luglio, dove il sole aveva fatto il suo operoso lavoro per tutto il giorno, mi trovo a chiacchierare con Annarita Summo e parliamo di “vino”, di agricoltura, mentre organizza la giornata del mattino seguente che inizierà molto presto per anticipare la premura, puntualità e laboriosità del caldo amico sole che avrebbe accompagnato le loro pratiche quotidiane anche il giorno seguente.
Quando si conoscono queste persone, i termini ormai abusati sono sempre i medesimi e sembrano quasi dovuti e ormai hanno perso del loro valore.
Ma comprendere la dedizione, la passione, la consapevolezza, di giovani produttrici, che decidono di investire sulle loro origini, sulle loro radici, che non ragionano secondo il mercato, ma rispettano solo la stagione e ciò che la terra gli dona, è un dono che va raccontato e comunicato.
Sono luoghi conservati dal tempo, che trasudano storia, atteggiamenti virtuosi, concetti da fare propri e da cui partire.
E’ proprio da questo seme che Annarita da origine a questo suo progetto, non solo vinicolo, ma agricolo, uscendo dalla frenesia cittadina quotidiana, per radicarsi in un luogo lento, apparentemente, cadenzato dalle stagioni e dalla natura.
Il nome delle etichette, fa comprendere che i vini di Annarita, sono vini da aspettare, sono vini che necessitano di attimi per essere assaggiati e per essere prodotti, che non seguono l’ansia dell’imbottigliamento, ma che in piena democrazia col produttore decidono come esprimersi e come presentarsi, a volte scapigliati, a volte spigolosi, da colori nitidi, nonostante il velo che li arricchisce e completa, densi al di la del grado alcolico, veri, puliti, genuini, umili, concreti, come chi li aiuta a generarsi.
Trebbiano e Sangiovese nel territorio di Gioia del Colle, i vitigni presenti nel nostro areale, che si chiamano per nome, senza timore di dovergli dare altri appellativi, ma con la convinzione di farli esprimere nel miglior modo possibile, in perfetta simbiosi e sostegno tra uomo e natura.
Il sole caparbio e infaticabile, controvoglia inizia a lasciar spazio alla luna, che timida cerca di fare capolino tra le nuvole che tingono il cielo di un rosa pastello e che mi fanno congedare da Annarita, al termine di una chiacchierata piacevole, costruttiva, arricchente e stimolante, con la voglia e convinzione di tornare a trovarla, magari nella nuova cantina, magari sotto gli alberi, magari durante la stagione del grano, magari e sicuramente sorseggiando uno dei suoi vini, inspirando bellezza, espirando natura, comunicando virtù agronomiche e morali.