Dopo 2 giorni al mercato 3 giorni a Piacenza, il mio stato d’animo è carico e ricco di energia positiva.
Il mercato è una babele di emozioni e colori, un dedalo meraviglioso dove perdersi e del quale non vuoi conoscere l’uscita.
E’ stato il mio primo FIVI ed è stato proprio come me lo aspettavo, un tripudio di persone, un manifesto del fare bene e dello stare bene, un tumulto di sensazioni ed emozioni.
Non mi dilungo oltre e vi racconto i miei assaggi, visto che al FIVI la cosa più difficile è scegliere, certo che quello che non assaggerai, sarà meritevole come quello che hai gustato.
Indice Contenuti
Azienda Agricola Sandrin, iniziamo col botto!
Il territorio vocato, le zone rappresentative ed espressive perchè fatte parlare, nel loro dialetto con i loro usi e costumi, quelli insegnati dalla terra da cui sono nati.
Valdobbiadene, Asolo e Cartizze, un tris vincente da una sola azienda, significa poter assaporare il luogo chiudendo solo gli occhi.
Iniziamo con 𝗔𝘀𝗼𝗹𝗼 𝗗𝗢𝗖𝗚 𝗦𝗽𝘂𝗺𝗮𝗻𝘁𝗲 𝗲𝘅𝘁𝗿𝗮𝗯𝗿𝘂𝘁 𝟮𝟬𝟮𝟬, si manifesta elegante sinuoso , fresco, energico, ricco di aromi dal pompelmo alla mela verde, dagli agrumi ai fiori di campo.
𝗩𝗮𝗹𝗱𝗼𝗯𝗯𝗶𝗮𝗱𝗲𝗻𝗲 𝗗𝗢𝗖𝗚 𝘀𝗽𝘂𝗺𝗮𝗻𝘁𝗲 𝗲𝘅𝘁𝗿𝗮 𝗱𝗿𝘆 𝟮𝟬𝟭𝟵 spostandoci di 5 km ad Est, sotto il monte Cesen, lasciando le nostre impronte su suoli marnosi, ricchi di porfido e gesso, assaporiamo un calice fresco, propositivo, per nulla scalfito dal residuo zuccherino facente parte della sua carta d’identità. Sapido, figlio del suolo, ghiotto nel sorso con albicocca e mela verde in giusto equilibrio.
𝗩𝗮𝗹𝗱𝗼𝗯𝗯𝗶𝗮𝗱𝗲𝗻𝗲 𝗦𝘂𝗽𝗲𝗿𝗶𝗼𝗿𝗲 𝗱𝗶 𝗖𝗮𝗿𝘁𝗶𝘇𝘇𝗲 𝗱𝗿𝘆 𝗗𝗢𝗖𝗚 𝟮𝟬𝟮𝟬 dopo altri 5 km, ci imbattiamo con estrema felicità con questa etichetta, unica Cru certificata Cartizze, che sgretola nel calice il carbonato, il gesso che nutre questo territorio, declinandolo in note sublimi di litchi, ananas, corbezzolo, leggero e piacevole affumicato.
Non potevo non assaggiare 𝗙𝗼𝗿𝗯𝗶𝗰𝗲 𝟮𝟬𝟭𝟵 rifermentato da Glera e altre varietà autoctone come perera e boschera, grappoli selezionati e raccolti “forbice per forbice”, massa che segue il suo percorso prima a contatto con le bucce, poi fermenta in acciaio, per riposarsi in bottiglia, senza filtrazione per assumere questo tono corroborante secco asciutto e comunque con un palato coccolato da note piacevoli e morbide.
𝗦𝗮𝘀𝘀𝗼 𝟮𝟬𝟭𝟵 da Merlot, il vino della merenda, potente e accomodante al contempo tra note di frutti rossi e liquirizia, dove l’assenza di filtrazione gli dona succo ed estratto che ritrovi nel sorso.
Gran bell’inizio, vedere una persona vogliosa di raccontarsi, che in un territorio vocato parla di pazienza, dove la fretta di fare numeri la fa da padrona. Poter assaggiare vini diversi a distanza di pochi km è un lusso che pochi vignaioli ti permettono. Lascio il banchetto felice e fiducioso per i prossimi assaggi.
Picchioni Andrea, andare oltre i paradigmi della letteratura ampelografica!
Appena atterrato sul banchetto di Andrea Picchioni, comprendo che quanto raccontato su di lui era vero e che avrei assaggiato delle denominazioni classiche, in chiave diversa e forse anche ancestralmente corretta.
10 ettari di terra in Valle Solinga, con inclinazioni eterogenee dove la vite irraggiata con continuità deve dissetarsi delle piogge concesse in corretta armonia pedoclimatica.
L’uomo in questo caso, Andrea, sarà il selezionatore delle viti, dei grappoli, il depositario della conoscenza storica da tramandare e narrare.
𝗗𝗮 𝗰𝗶𝗺𝗮 𝗮 𝗳𝗼𝗻𝗱𝗼 2019 70 croatina, 30 uva rara rifermentato in bottiglia, asciutto, fresco, inaspettatamente tagliente, anche se scopro che è facente parte del suo corredo genetico.
𝗥𝗼𝘀𝘀𝗼 𝗱’𝗮𝘀𝗶𝗮 2017 90 croatina 10 ughetta di canneto più conosciuta come vespolina. Una bonarda ferma, gustosissima, voluminosa al naso tra note mentolate e viola e il tannino espresso e spalmato al sorso tramite la sosta in cemento.
𝗕𝗿𝗶𝗰𝗰𝗼 𝗥𝗶𝘃𝗮 𝗕𝗶𝗮𝗻𝗰𝗮 2017 croatina 60 barbera 30 10 ughetta, il buttafuoco senza l’uva rara, perche il vignaiolo pensa che abbia il nerbo e la carica per l’affinamento, per l’attesa, per dimostrare di non essere il frizzante da pronta beva didatticamente raccontato, ma un bel sorso fresco e tenace che corrobora il palato.
Meritevoli anche il 𝘉𝘶𝘵𝘵𝘢𝘧𝘶𝘰𝘤𝘰 𝘚𝘰𝘭𝘪𝘯𝘨𝘩𝘪𝘯𝘰 2020, 𝘭𝘢 𝘉𝘰𝘯𝘢𝘳𝘥𝘢 2020 𝘦 𝘪𝘭 𝘚𝘢𝘯𝘨𝘶𝘦 𝘥𝘪 𝘨𝘪𝘶𝘥𝘢 𝘍𝘪𝘰𝘳 𝘥𝘦𝘭 𝘷𝘦𝘯𝘵𝘰 2020, dotati di energia e carattere, con beva pronta dinamica ed estremamente piacevole, sempre tutti tonificati da un tannino presente.
Marta Valpiani, essenza, rispetto, attenzione = emozione!
Scegliere quali cantine visitare al FIVI è veramente complesso, devi conoscerli, devi averne sentito parlare, ti devi affidare ad amici e al fivi ce ne sono tanti, che ti consigliano caldamente di ripetere assaggi da loro già fatti.
Da Marta Valpiani ci vado su consiglio di un amico produttore, a sua volta presente al mercato, che mi dice che se voglio bere un’Albana strepitosa ed espressiva, dovevo assolutamente fare pit stop li.
Quindi mi faccio trovare li, pronto col mio calice e inizio proprio con il 𝗗𝗲𝗹𝘆𝘂𝘀 𝟮𝟬𝟮𝟬 da Albana 100% in due territori diversi che affina in cemento, acquisendo vigore, spessore, espressività. Asciutto, sapido, voluminoso, realmente una albana fantastica.
𝗠𝗮𝗱𝗼𝗻𝗻𝗮 𝗱𝗲𝗶 𝗳𝗶𝗼𝗿𝗶 𝟮𝟬𝟮𝟬 da vigne di 40 anni, con malolattica spontanea, si corazza ancora di più di estratto e carica aromatica, manifestando un tratto in grassetto di tannino che la rende ancora più imprevedibile e carismatica.
𝗟𝗮 𝗳𝗮𝗿𝗳𝗮𝗹𝗹𝗮 𝟮𝟬𝟭𝟵 dalla parte più in alto del versante nord della collina di Bagnolo, da sole argille azzurre, deriva un calice versatile ed elegante, puro e di carattere, con un tannino sferzante, da bere ad occhi chiusi godendone beva e materia.
𝗠𝗮𝗿𝘁𝗮 𝗩𝗮𝗹𝗽𝗶𝗮𝗻𝗶 𝟮𝟬𝟭𝟴 argille rosse ricche di ferro, scheletro con calcare e sasso “spungone”, massa che nel suo percorso di vita, passa per le freschi pareti dell’acciaio, per le severe mani del cemento, fino alle premure del legno. Il calice che si origina è concreto, succoso, ti arricchisce il palato, stressandolo col tannino e con la sapidità e coccolandolo con materia e avvolgenza.
𝗖𝗿𝗲𝘁𝗲 𝗮𝘇𝘇𝘂𝗿𝗿𝗲 𝟮𝟬𝟭𝟴 da argille azzurre, Sangiovese in purezza e in essenza. Contatto e colloquio con le bucce in pieno fermento, fino a Natale, poi 15 mesi di carezze di botte grande per poi terminare il suo percorso di preparazione alla bottiglia col ruvido cemento. Il risultato è una totale esplosione di profumi e sapori, con un soffio mentolato di sambuco e anice, sostenuto da freschezza e tannino che in perfetto bilanciamento arricchisce e contemporaneamente priva di succo il palato, sempre tenuto in equilibrio sensoriale.
Carico e motivato lascio il banco di Marta e proseguo il mio percorso, certo di trovare altri vignaioli altrettanto meritevoli.
Pantaleone, certezza, garanzia, certificazione di territorio!
Da Pantaleone ci vado di proposito, era uno degli assaggi che avevo inciso col fuoco sul mio taccuino.
Avevo già avuto il piacere di bere, il loro 𝑃𝑒𝑐𝑜𝑟𝑖𝑛𝑜 𝑂𝑛𝑖𝑟𝑜𝑐𝑒𝑝 2018 e avevo formattato in un nanosecondo tutte le idee che mi ero fatto su quel vitigno e quindi ero curioso e voglioso di assaporare tutte le altre etichette.
Inizio proprio dall’ 𝗢𝗻𝗶𝗿𝗼𝗰𝗲𝗽 2020 e come in ritorno al futuro, rivivo un’emozione già provata, anche se più giovane, fresca, elettrizzante. Un delicatissimo e vigoroso refolo di freschezza, sapidità, integrato da piacevoli note di albicocca e zagara, come aprire la finestra sulle Marche e godersi il panorama.
Il 2018 che mi aveva fatto conoscere questa splendida cantina è sempre perfetto, impeccabile, per nulla sgualcito, eccezionalmente dinamico e vibrante.
𝗣𝗶𝘃𝘂𝗮𝗻 2020, Montepulciano in rosato, tanti frutti rossi acidi e freschi, tanto sapido gusto, per un sorso persistente e godibilissimo.
Si iniziano a vedere le sfumature dei rossi di pantaleone e quindi con tanta ingordigia mi lancio sull’𝗔𝘁𝘁𝗼 𝟭° 2018 𝐼𝐺𝑇 𝑀𝑎𝑟𝑐ℎ𝑒 𝑆𝑎𝑛𝑔𝑖𝑜𝑣𝑒𝑠𝑒, un tannino vivo, vivace, tagliente sia al gusto che visivamente, tanta materia che determina un sorso asciutto, succoso, integro e integralista.
Passo proprio come in uno spettacolo teatrale al 𝗦𝗶𝗽𝗮𝗿𝗶𝗼 2018 𝐼𝐺𝑇 𝑀𝑎𝑟𝑐ℎ𝑒 𝑟𝑜𝑠𝑠𝑜 Montepulciano figlio di due percorsi che poi collimano nell’ultimo passaggio. Acciaio e legno grande per un calice sempre estroverso, propulsivo, con un tannino leggermente più domato, ma sempre vispo e pimpante.
𝗕𝗼𝗰𝗰𝗮𝘀𝗰𝗲𝗻𝗮 2018, 𝐼𝐺𝑇 𝑀𝑎𝑟𝑐ℎ𝑒 𝑟𝑜𝑠𝑠𝑜, 90% Montepulciano, 7% Sangiovese, 3% Grenache picena, una stoffa vellutata che pervade l’intero assaggio dallo sguardo, ai profumi, alle sensazioni gustative, morbide carezze sempre leggermente ruvide e ragguardevoli, grazie alla sfumatura erbacea del tannino comunque tassello imprescindibile.
𝗥𝗶𝗯𝗮𝗹𝘁𝗮 2016 sempre 𝐼𝐺𝑇 𝑀𝑎𝑟𝑐ℎ𝑒 𝑟𝑜𝑠𝑠𝑜 da Grenache in purezza, un tripudio di sensazioni, tanto eleganti e sinuose, proprio come la prima ballerina della scala, leggera ma essenziale, curvilinea e muscolosa, tonica e rassicurante.
Una chiusura di spettacolo eccezionale. Aver assistito a questa presentazione su questo palcoscenico, dopo aver assaggiato il trailer dell’esibizione con l’Onirocep, è stata la giusta conclusione di questa prima scoperta di questa azienda fantastica e sono andato di corsa a comprare i biglietti per la prossima loro esibizione.
Podere Ranieri una via sentimentale che unisce le persone e la natura nel calice!
Da podere Ranieri, ci arrivo tramite il consiglio di un altro produttore. Come già detto, il bello del FIVI è essere tutti una grande famiglia, dove ognuno presenta orgoglioso un suo parente o amico e quando qualcuno spende le sue parole per un altro vignaiolo, è garanzia di successo.
Quindi macinando solo circa 500 metri, arrivo in Toscana a Massa Marittima, in un luogo quasi fiabesco, tra olivi, animali che pascolano liberi, nutrendosi dell’aria e del paesaggio e mi imbatto in questa splendida realtà, fatta di 15 mila bottiglia e 4 ettari di vigna, circondati dalla natura.
Inizio col 𝗩𝗶𝗼𝗴𝗻𝗶𝗲𝗿 2019 in purezza, veloce, dinamico, fluente, aromatico e secco che prepara il palato al successivo assaggio, il 𝗠𝗮𝗻𝘇𝗼𝗻𝗶 che amplifica la struttura e l’essenza, con note di tiglio e macchia mediterranea che deflagrano gentilmente in un sorso fresco e sapido.
Arriva il momento del 𝗦𝗲𝗻𝘇𝗶𝗲𝗻𝘁𝗲 2017, che mi presentano come una persona, con sentimenti, pensieri, forse i medesimi che loro vignaioli hanno dalla coltivazione, alla vendemmia con un blend di coraggio, timori e premure che riversano nel calice.
Cabernet sauvignon, Sangiovese e Merlot, 12 mesi di tonneaux da 3oo litri, per un vino determinato, concreto, erbaceo, tannico e voluttuoso, proprio come i suoi tre attori che lo compongono.
Gli stessi vitigni li bevo in purezza 𝗦𝗮𝗻𝗴𝗶𝗼𝘃𝗲𝘀𝗲 2018 , 𝗖𝗮𝗯𝗲𝗿𝗻𝗲𝘁 2018, 𝗠𝗲𝗿𝗹𝗼𝘁 2018 ognuno si declina nelle proprie corde, il primo speziato e tannico, il secondo erbaceo e fresco e l’ultimo con quell’attrito tannico che ho imparato a riconoscere nei merlot essenziali ed estremi, fuori da quanto la letteratura ci ha insegnato.
Un altro bel viaggio, un altra bella passeggiata a cielo aperto, con occhi, cuore e testa spalancati.
Supersanum, amici per incontro empatico, primo loro sostenitore per coraggio, passione, competenza!
Sono un ricercatore di emozioni, con il lanternino cerco vignaioli, artigiani con le mani colorate dalla terra, con la zappa usata come pennello per dipingere i loro vigneti, che possono sembrare apparentemente meno belli e ordinati degli altri, ma con il loro essere scapigliati, vissuti, resi resistenti dalle difficoltà, riescono a mostrarsi bellissimi e dipingono ritratti non omologati e per questo indimenticabili e unici.
Questo è quello che provo, ogni qualvolta vado a trovare in terra Salentina, i ragazzi di Supersanum, diventati amici in fretta, perchè innamorati del loro lavoro e capaci con i loro sguardi umili ma orgogliosi, titubanti ma fieri della loro terra e del loro impegno, di coinvolgerti immediatamente.
Forse posso sembrare campanilista, ma avrei detto le stesse cose, anche solo assaggiando per la prima volta i loro vini, proprio come è accaduto al mio primo loro sorso.
𝑆𝑖𝑛𝑒𝑟𝑔𝑖𝑐𝑜 in versione bianco, rosata e rosso, 𝐶𝑎𝑚𝑖𝑛𝑎𝑛𝑡𝑒 in rosso e solo alcuni anni in rosato, 𝐷𝑜𝑛 𝑚𝑜𝑠𝑒̀ classico e da poco versione riserva, sono l’espressione totale della mentalità e idea di vigna e vignaioli dei fratelli Nutricato.
Produrre 8000 bottiglie, quantità altalenante negli anni, seguendo come giudice insindacabile la stagione, farlo, usando come socio maggioritario la natura, il lavoro, la dedizione e passione, vuol dire credere in quello che si fa.
Come ormai predico da tempo quando gli ingredienti sono questi, al di là dei prezzi, al di la delle etichette, dei nomi, questi sono i vini che fanno 𝑒𝑚𝑜𝑧𝑖𝑜𝑛𝑎𝑟𝑒 senza ombra di dubbio. Sono quei vini che bevuti alla cieca, ti trasportano fuori dalla Puglia e anche fuori dall’Italia, sono qui sapori, colori e profumi identitari, spontanei, veri, sinceri a cui a volte non siamo abituati, perchè omologati dallo stile di vinificazione e dalle aspettative del mercato.
Cantina Supersanum è appunto questo, valorizzare il materiale umano e naturale che si ha a disposizione, far esprimere ogni singola vigna e vitigno, assecondandone forza e genetica, lavorare l’estratto territoriale, dargli voce e potenza che ritrovi urlante e concreta in bottiglia.
Lascio i miei amici di Supersanum e provato sia dalle emozioni che dagli assaggi che iniziavano a far diventare importante il mio numero di “sorsi”, arrivo all’ultima degustazione della giornata.
Prever, custodi e antiquari di antichi vigneti, sostenitori del territorio!
Quasi come seguendo una bussola immaginaria guidata dai sentimenti, decido alla cieca di terminare il mio primo giorno di cammino al mercato FIVI, proprio a quel banchetto, dove mi Aspetta Giulia, anche lei, in una coincidenza quasi astrale, custode delle varietà autoctone, delle vigne sagge di diversi anni, proprio come i ragazzi di Supersanum.
𝗕𝗶𝗮𝗻𝗰𝗼 𝗱𝗲𝗹 𝗳𝘂𝗼𝗰𝗼 da vecchie vigne vicino alla valle di Susa, un altipiano da argille compatte, da una vigna andata a fuoco e rigenerata, curata, cucita nelle ferite, con l’ausilio dell’artigiano archetto Piemontese, resiliente e quindi ancora più potente che determina un sorso essenziale, tremendamente concreto, aromatico e fresco, persistente e poderoso.
𝗦𝗮𝗻 𝗤𝘂𝗶𝗿𝗶𝗰𝗼 𝗣𝗮𝘁𝗿𝗼𝗻𝗼 2017 con uve autoctone piemontesi tra cui la Neretta Cuneese, raccolte per singolo vigneto, acciaio e bottiglia per un calice essenziale, puro estratto, determinato e astringente, persistente e voluminoso.
𝗡𝗲𝗯𝗯𝗶𝗲 𝗮𝘂𝘁𝘂𝗻𝗻𝗮𝗹𝗶 da ulteriori vitigni rinvigoriti e persistenti, figli delle zolle piemontesi, della rarefatta nebbia che si confonde con bianco dei comignoli, delle foglie d’autunno e dei profumi di cenere che si esprimono in simbiosi con l’uomo che li conduce e li descrive, in una bottiglia eccezionale, armonica, aggraziata e decisa, corposa e fresca, tannica e avvolgente.
Un’altra bellissima esperienza, un’altra conoscenza di una vignaiola testarda e appassionata, volenterosa e competente, custode del territorio, della storia, sarta del futuro che cucirà con pazienza, conoscenza ed abnegazione, con racconti e lavoro, come ago e filo per la trama che rappresenterà per tanto tempo il suo essere e il loro terroir.
Termino così il mio primo giorno di FIVI, stanco ma ovviamente felice, contento e determinato, convinto che il secondo giorno sarà altrettanto eccezionale, voglioso di ricaricare le batterie, di ordinare i miei appunti di viaggio e di camminare e passeggiare tra i banchi del fivi, tra i vignaioli, con i vignaioli, tra le vigne, nelle vigne!