Il nostro vino lo beviamo anche e soprattutto noi
Voglio iniziare con questa frase il racconto della Terza “puntata” di questo affascinante viaggio nel mondo dei produttori, degli artigiani della terra, di chi fa’ vino.
Incomincio con queste parole poiché pienamente rappresentative della filosofia di questi vignaioli: produrre una bottiglia, frutto della natura e del territorio, fatta prima di tutto per essere goduta e bevuta da loro. Come i veri contadini che si nutrono di quanto prodotto, all’epoca per auto sostenersi, ai giorni nostri per essere certi di come ci si alimenta. Questa volta, come in un viaggio nel tempo, sono immediatamente catapultato in una realtà passata, una narrazione di un periodo che fù, descritto dagli occhi giovani, premurosi e protettivi di chi mi ospita per parlare dell’”azienda agricola” Vetrère.
Azienda agricola a tutti gli effetti, testimoniata dal florido grano senatore cappelli e dai vispi e vigorosi uliveti che generano la dorata essenza dei loro frutti: quell’olio con una identità povera ma sontuoso vanto delle nostre terre e delle nostre origini.
Enrica Trinchera, quarta generazione di “produttori”, come amano essere chiamati ma nel senso più intrinseco e semantico del termine, mi apre le porte della loro casa e della loro tradizione, che si recepisce in ogni angolo delle loro mura, erette con quella pietra, quel tufo che trasuda storia e che custodisce gelosamente non solo le bottiglie in cantina, ma tutto quello che quei tratturi, quelle zolle, quelle strutture rappresentano.
Racconti di decenni fa, divulgati anche nelle etichette raffiguranti i confini del tempo, profondamente marcati nei caratteri dei loro calici.
I nomi dei vini, la grafica, il modo di condurre la terra e di vinificare l’uva, sono piene testimonianze del reale desiderio di diffondere quanto appreso, raccolto, preservato.
L’orgoglio, il legame con le proprie origini traspare in maniera netta: emerge nelle parole di una nipote che con fierezza narra dell’amore tra i suoi nonni, amore romanzesco che si sviluppa parallelamente ai vigneti ed all’azienda agricola, e che ne cadenza ritmi, lavoro ed abitudini.
Vicende, vicissitudini di secoli che lungo i binari di una ferrovia uniscono generazioni
Dopo averne ascoltato la descrizione durante la chiacchierata, mentre mi congedo, Enrica mi mostra i luoghi che ospitavano i lavori, la quotidianità che scandiva le giornate, le pratiche agricole, la produzione dei vigneti di uva da tavola che, tramite le carrozze dei treni, valicavano i confini regionali alimentando la vita e le necessità di un’intera comunità.
Animando le sue parole mi sembra quasi di vedere, tra quegli sterrati, gente con cassette di legno, che lavorava sin dalle prime luci dell’alba, che trovava in quei capanni un luogo sicuro, di lavoro ma anche quotidiano: una casa, una famiglia con cui cooperare.
Tutto questo venne poi rivalorizzato quando il mercato dell’uva, restrittivo e cinico, fece protendere per la scelta di ridestare e rispolverare la vecchia cantina e di iniziare a produrre vino e non più uva da tavola, sempre secondo gli insegnamenti acquisiti negli anni ed utilizzando l’innovazione per esaltarne la tradizione.
Così in soli 4 anni, dal 1998 al 2001, guidate da Anna Maria e Francesca Bruni, rispettivamente mamma e zia di Enrica che me ne racconta le “gesta”lasciando trasparire, con orgoglio, l’estrema stima per queste donne determinate e tenaci come le loro terre, si sviluppa e si realizza questo progetto che vedrà nella famiglia il carburante indispensabile, il fulcro centrale del progetto, il cardine imprescindibile: un marchio rappresentativo di questa realtà ancorata indissolubilmente alle radici nutrite e rinvigorite dal passato ma inevitabilmente protese verso il futuro.
Il minutolo è come un bambino: ha bisogno di premure e attenzioni
L’umiltà, la precisione, la cura con cui Enrica descrive le peculiarità del Minutolo indicano e tratteggiano il profilo di produttori che partono dalla materia prima, trattandola con dedizione e passione, esaudendo e rispettando la sua indole, come genitori orgogliosi, per permettergli di realizzarsi al meglio.
Anche questo è rappresentativo della loro volontà, e delle loro idee, di puntare sul territorio, cercando di farne esprimere tutte le sue potenzialità, tramite le “ricette” tramandate di generazione in generazione.
Ciò trova testimonianza anche nella coltivazione e nella produzione di varietà autoctone che, malgrado i confini territoriali che a volte rappresentano limiti burocratici, sono tutelate nella loro originalità e nella loro essenza.
Ecco che il Minutolo, che si esprime al massimo in suoli calcareo argillosi, che predilige l’esposizione ad Ovest, che per proteggere il suo acino “minuto” e fragile, e soprattutto la sua aromatica e pregiata buccia, si avvolge in una foglia larga e sicura, viene coltivato assicurandogli le condizioni più corrette per la sua crescita, consapevoli che proprio come un delicato neonato, se non coccolato, cullato e nutrito, rischierebbe di non prosperare al meglio.
Sempre con il giusto orgoglio – Enrica – sottolinea che la sua famiglia possiede 8 dei 22ettari di Minutolo presenti in tutta la Puglia e, con rammarico ma certamente non con rassegnazione, mi esprime il suo dispiacere nel non poter scrivere in etichetta ed a caratteri cubitali il nome del suo “creaturo”, ma di doversi limitare ad indicare “prodotto da uve minutolo”.
Nonostante le barriere ufficiali, con testardaggine impareggiabile ed invidiabile, tutta la famiglia è impegnata nella tutela del loro prodotto . Per questo la “loro” Vendemmia tardiva da Minutolo, non sarà chiamata così, ma VT, perchè senza stravolgerne il DNA ed il carattere la faranno adagiare sulla pianta per meno tempo di quanto la burocrazia vorrebbe.
Proprio per trattarlo amorevolmente lo raccolgono di notte, per impedire fermentazioni spontanee e che si “stressi” troppo, lo adagiano quindi nelle umide e fresche cantine in tufo lasciandolo corroborare e tonificare e garantendone la sua massima espressione aromatica.
Sacrifici, attenzioni, gesti decisi e non sempre facili per salvaguardare un territorio, una storia
Zona di confine, no limiti invalicabili ma opportunità di rappresentare caratteri distintivi
I confini e la centralità del territorio, in cui insistono i vigneti di questa azienda, mi hanno colpito da subito.
Vigne collocate in un posto strategico, da un lato entusiasmante poichè disteso tra Salento, Valle d’Itria e Tarantino ma dall’altro limitante, in quanto non definitivamente identificabile in una tanto sospirata e altisonante Denominazione di Origine.
Questo, però, non ne condiziona le scelte produttive di famiglia che, con la caparbietà ormai attestata, coltiva e raccoglie il Primitivo pur non potendolo battezzare con uno dei nomi tanto fragorosi associati ad una DOC (o ancor meglio ad una DOCG) ma lo lasciano esprimere con elegante agilità, sinuosa avvolgenza e profonda trama aromatica.
Coltivano, ancora tra i pochi a farlo, Malvasia nera in purezza, azzardando anche l’incremento della produzione e originando un calice sempre più rappresentativo e tipico, dotato di un giusto equilibrio tra nerbo e leggiadria, tra freschezza gustativa e rotondità strutturale.
Continuano a curare e vinificare il Minutolo, come già detto, nonostante non possano fregiarlo con “titoli nobiliari” (che in realtà meriterebbe di diritto ed a mani basse) vista la sua storia in quei suoli e in quell’azienda: racconti di sperimentazioni e ricerche in collaborazione con Lino Carparelli (il suo padre putativo ed a cui deve la sua identità solitaria ed elitaria e non condivisa col Fiano), per tutelare e valorizzare il suo DNA e le sue intrinseche capacità.
Titoli, no semplici esercizi di fantasia, ma radici totalmente legate ad una storia da narrare
Conoscendo da “bevitore professionista” quasi tutte le etichette (ma anche i motivi che hanno portato alla scelta di alcuni dei loro nomi) chiedo ad Enrica di declinarmeli tutti e, mentre me li descrive, mi confida che in ogni vitigno lei scorge un’anima recondita, un’anima pura ma piena di vigore che lei identifica in una personalità di donna. Mi spiega così che la Malvasia, ad esempio, per lei è una signora che cura il suo lato estetico, pur avendo un carattere greve e tenace. Il Primitivo è una donna sfacciata e sensuale, mentre il Kemelios, il loro negroamaro e primitivo che riposa in barrique e che è prodotto solo in annate particolari, rappresenta una madama di altri tempi, sofisticata, elegante, fine.
Così, soddisfatta la mia curiosità ormai irrefrenabile, mi svela i “perchè” dei diversi “titoli” assegnati ad ogni etichetta ma anche la “colpevole” delle assegnazioni di quei nomi: la già citata Zia Francesca Bruni che in azienda, inoltre ricopre il ruolo meno estroso e più formale, di responsabile amministrativa e commerciale.
Così mi svela che il “Finis” si chiama così poiché colto dai vigneti nella zona di confine. L'”aureo”, primo spumante da Minutolo nel 2006 in Italia e in Puglia, dal latino oro, è assimilato al giorno di festa, alla spumeggiante bollicina. Il “Passaturo” (la cui etichetta rappresenta la mappa del territorio dell’epoca ossia di quando lo zio acquistò i possedimenti) da’ forma al nome con cui si indicavano le stradine utilizzate per andare nei vari appezzamenti. Il “Barone Pazzo” ci riporta al magnifico legame tra i nonni, poiché in esso rivive quella storia che il nonno era solito raccontare alla sua amata. Il Kemelios, austero e tenace, non sempre disponibile, impersonifica proprio quel Dio greco della guerra da cui prende il nome. Il Laureato che venne vendemmiato, per mancanza di mano d’opera, dagli amici di famiglia presenti e disponibili, tutti laureati, ma anche chiamato così poichè è stato per Vetrere il primo vino imbottigliato e, quindi, insignito per primo di tale onorificenza.
Terminiamo, tra tanti altri nomi di fantasia, con l’Umi, Chardonnay in selezione particolare, che prende il nome giapponese del “Mare”.
Una serie di nomi e non semplici peripezie di fantasia, ma richiami del cuore, altro indizio di una profonda volontà di essere saldamente legati alla tradizione, da comunicare e diffondere.
Puglia, patrimonio da salvaguardare e esportare nella sua totalità
Collegandomi all’ultima bottiglia descritta, cerco di recepire quelle che sono i loro obiettivi rispetto all’esportazione ed al mercato straniero.
Per Vetrère sicuramente il mercato estero rappresenta comunque un porto felice ma anche un obiettivo da raggiungere per espandere il loro livello di conoscenza e riconoscibilità in maniera sicura e consapevole, in assoluta simbiosi ed in pieno rispetto del territorio per trasferire, anche oltre i confini Nazionali, la propria entità regionale e le proprie capacità, senza temere il confronto reverenziali con altre regioni o altre nazioni più blasonate.
In queste parole si intravede la volontà, che mi conforta e mi dona speranza per il futuro della viticultura Pugliese, di collaborare anche tra produttori, di confrontarsi, di aprirsi e sostenersi a vicenda col desiderio di crescere, di far rete, di creare una sinergia bella e pulita che possa far incrementare il valore di tutto il tacco d’Italia, valore di cui si hanno già esempi concreti che hanno reso grandi altre zone Italiche e non.
La condivisione degli obiettivi, delle criticità, delle esperienze tra gente che è figlia della terra, è certamente l’unico modo per assicurare la crescita rigogliosa e duratura dell’intero panorama vitivinicolo regionale.
Dal campo alla cantina si predilige sempre il rispetto del territorio in sinergia con la natura
L’azienda soddisfa il suo fabbisogno energetico autonomamente, attraverso pannelli solari, caldaie a biomasse e usando i tannici e astringenti vinaccioli come combustibile per affrontare il rigido inverno; questo ribadisce ulteriormente l’estrema volontà di rispettare il territorio.
Tutto ripetuto sia in campo che in cantina, attraverso l’uso di lieviti indigeni e delle pratiche colturali tese alla tutela e al rinvigorimento del suolo.
Alla lavorazione sono destinate diverse sale della cantina, che abbiamo attraversato per andare a visitare i vigneti. Una sala a piano terra (zona di affinamento e di “affilamento” delle armi dei rossi di punta) è interamente dedicata alle botti di rovere in Slavonia, opportunamente cambiate nel tempo, secondo concrete intuizioni.
Le antiche vasche interrate, di tufo, sono l’ambiente ideale per conservare il vino nei mesi estivi.
Mi è sembrato quindi particolare apprendere che, solo dal prossimo anno, riceveranno la certificazione biologica: ovviamente lo stile produttivo e la filosofia di gestione sono sempre stati applicati sebbene non ancora ufficializzati.
Ad aggiungere valore all’argomento ci ha pensato un altro giovane membro del team “rosa” di Vetrère, la cugina Martina Andriani, che ha condotto (e conduce) studi sui lieviti indigeni che si “nutrono”del Minutolo e che lo valorizzano
Ecco che quindi una vendemmia che per 40 ettari potrebbe durare 4 giorni, si articola in 3 settimane, attraverso l’ausilio di tutta la squadra Vetrère. Scrupolosamente si censiscono grappoli, colti al giusto momento, manualmente o meccanicamente, sempre comunque guidati dalla mano vigile ed esperta dell’uomo, in primis mamma Francesca.
“Squadra rosa al completo, gentil sesso ma tenaci e ardenti come i più caldi e tenebrosi vini rossi”
Della squadra rosa, ormai quasi tutta svelata, manca solo la sorella Fanny che insieme ad Enrica si occupa del Marketing e delle strategie comunicative aziendali.
Un ruolo agli uomini della casa è “concesso”, saranno fondamentali e severi giudici durante le degustazioni che si tengono in cantina per assaggiare i vini in produzione dell’anno in corso e per decidere, aiutati dalle inebrianti doti del vino, la strategia commerciale da seguire.
La domanda ormai di routine: desideri e obiettivi per il futuro
Al termine di queste passeggiate tra vigneti, cantine, barricaie mi piace sempre chiedere al produttore quali sono gli obiettivi per il futuro.
Le persone che scelgo sono, come ormai avrete capito, quegli artigiani che “berrei” e che, quindi, consiglio di bere non solo per la qualità dei loro vini, per il loro metodo di produzione e per il rispetto che hanno del vitigno e del territorio, ma anche per l’empatia che si crea conoscendoli, parlandoci prima in privato e poi durante i nostri incontri, per poi presentarveli.
Enrica, è giovane, ha tanta energia e voglia, ha saggiamente però i giusti timori di chi ha la testa sulle spalle. Di lei mi ha sempre colpito l’amore e il riguardo che ha verso i suoi prodotti e verso le persone che la circondano e verso “l’intero universo vino”, consapevole delle difficoltà di essere produttori e delle responsabilità che ha, convinta che una bottiglia di vino, ha un valore inestimabile per chi la produce e per chi la beve, perchè porta con se storie, narrazioni, persone, uomini, territori.
Per questo una ragazza così dinamica, attenta, come tutta la squadra Vetrère, non poteva non avere desideri a breve e lungo termine e me ne rivela alcuni dei più imminenti.
L’aspirazione di Vetrere è rendere l’azienda, com’era in passato, un punto di riferimento per la zona, per coinvolgere persone, creare eventi, momenti conviviali ma anche sociali, per comunicare vino e territorio, cercando di massimizzare il coinvolgimento anche degli altri produttori.
Inoltre in questa esuberante atmosfera aziendale in pieno fermento, sta “ribollendo” l’idea, in sinergia con il cugino di Enrica, di produrre una linea di bottiglie la cui decorazione sarà affidata ai ragazzi del “Quartiere delle ceramiche” di Grottaglie al fine di devolvere il ricavato delle relative vendite in beneficenza ad Enti Benefici per i bambini del Tamburi di Taranto.
Non mi resta che brindare con Enrica, augurando loro il meglio.
Sono convinto che continuando su questi tratturi che accostano la ferrovia, già calcati dai loro predecessori, ricchi di storie da raccontare ed emulare, con l’entusiasmo per il futuro ed il rispetto del passato, saranno parte attiva nel processo di evoluzione e comunicazione del nostro territorio mantenendone pur sempre salde e rigogliose le radici, diffondendolo e rappresentandolo nella sua più profonda identità!