Tenere una verticale è un gesto atletico, che necessita di concentrazione massima ed equilibrio, minuzia dei particolari e massimo approccio e sostegno dell’aria e abilità nel gestire l’ossigeno.

Lo stesso dicasi in ambito enologico per una verticale di 4 annate di una stessa etichetta.

Poi, quando si parla di Barolo, i muscoli devono essere giustamente tesi e tirati, pronti per accogliere una forza vigorosa e potente come quella del “Re dei Vini e del Vino dei Re”.

Sordo e gli Otto Cru del Barolo

Siamo nel cuore delle Langhe, nel comune di Castiglione Falletto, comune cerniera del palcoscenico Barolista, tra Monforte a Nord e Barolo ad Est, tra la forza di Monforte e l’eleganza di La Morra, uno tra i territori che originano i calici più grintosi e tannici del territorio.

Dal 1912 all’insegna della tradizione, 3 generazioni che non cedono alle tentazioni, 3 generazioni tese verso il territorio, tra attese e pretese, producono la terra, fanno bere il suolo.

8 cru in 5 comuni diversi, medesima tecnica di vinificazione, ricetta storica, tramandata, custodita, tutelata malgrado il mercato, nonostante i timori e le pressioni delle vendite, vuol dire, percepire nel bicchiere il diverso terroir.

Oltre a Rocche di Castiglione, altre 7 cru: Parussi, Villero, Monprivato, Gabutti, Perno, Monvigliero, Ravera, dislocati in 5 comuni nel fazzoletto Barolese, per la precisione Castiglione Falletto, territorio di origine del Cru Castiglione Falletto, Verduno, Monforte d’Alba, Novello, Serralunga d’Alba.

5 comuni, 5 suoli diversi, 5 influenze metereologiche diverse, 8 sinfonie diverse con orchestre diverse.

Stratigrafia eterogenea, curve che si intersecano, geologie variegate, sorsi sorprendenti e differenti.

Lunghe macerazioni a cappello sommerso, affinamento in botti di rovere di Slavonia di grandi capacità, come si faceva una volta, come chiede la galenica disciplina barolista, come si fa dall’inizio dei tempi.

La degustazione, le annate, l’evoluzione nel calice

“Sapeva di Violetta e di Primavera, aveva dentro il calore del camino e la freschezza della nebbia Mattutina” declinando le parole di Giorgio Bocca, inizio a descrivere questa splendida degustazione, questa scalata al successo, questa altalena di emozioni, questa iperbole di tensione e vibrazione, questo quadro di un territorio nebuloso che si liquefa nel calice.

2013 iniziano le danze

Il rosso granato è luminoso, raggiante, sobbolle ancora nel calice, toni potenti. Il naso è tipico, fresco, viola, liquirizia, rosa, ciliegia croccante, giovane, decisamente pischello. Il territorio è vivido, presente, vivo, rende perfettamente l’idea di quello che andremo ad assaggiare, ciò che ci aspetta.

Il 2013 ha permesso, con le temperature tese di Settembre e Ottobre, di sviluppare il quadro fenolico del Nebbiolo e di strutturarlo, di arricchirlo per gli anni a venire.

A detta dei produttori è un’annata destinata a grandi cose e ad essere attesa, diritto di un Barolo.

2007 si dia inizio alla terapia del barolo: vapori, massaggi, allungamenti, distensioni, al palato e al cuore

Si inizia a virare, si inizia ad assumere le rughe o in caso del tannino, le rugosità dell’età, si incomincia a percepire la lenta e progressiva terziarizzazione del Barolo che apre il sipario agli effluvi del balsamico e alle erbe essenziali, inizia la terapia del Barolo. Il palato inizia a tonificarsi, a scrollarsi di dosso le pieghe intorpidite dell’età, a far percepire i suoi profumi identitari, arricchiti e amplificati dal tempo.

Annata “anomala” per l’andamento climatico generale, inverno mite, estate non molto calda, con scarse precipitazioni e una vendemmia quantitativamente inferiore rispetto alle medie ma qualitativamente eccellente, ne derivano calici caldi, profondi, tannini stridenti e acerbi.

2001 le pareti dei calici iniziano a tremare, si inizia l’assillante muto  fragore del Barolo

I tempi sono maturi, la console è pronta, il sound è quello giusto è il rumore silenzioso del Barolo.

Eccezionale, vibrante già all’occhio, tonalità apparentemente esile, ma in realtà accecante, luminoso, colore aggressivo e seducente, dirompente. Il naso è complesso, articolato, razionale evoluzioni dell’antocianica buccia: china, rabarbaro, toni amaricanti, ma per nulla amari. Poi si giunge al sorso, dinamico, verticale, imponente, fresco, destabilizzante, infinito, avvolgente, intrigante, affascinante, seduttivo.

Annata tipica, che ha generato Barolo espressivi , gradazioni alcoliche buone, colori intensi, profumi ampi e complessi, buona struttura e buona ricchezza polifenolica per vini da aspettative a cinque stelle, pronti per i grandi palcoscenici, capaci di soddisfare i palati più esigenti.

1990 la sapienza, la consapevolezza, la tranquillità dell’età

Arriva il momento della maturità, della saggezza, di una persona che ha visto le umide brine mattutine, i paesaggi metafisici, sollevati nell’aere, i colori di ruggine degli autunni delle Langhe, i vingeti imbiancati, le colline ricurve che si raggomitolano tra loro, di ben trent’anni prima.

Risulta equilibrato, ordinato, completo, sicuramente vissuto, sia nelle tonalità, nei profumi e nelle sensazioni gustative. Il colore è più cupo, mattonato, i profumi sono da evoluzione e piena maturazione, il gusto ti pervade, sempre con enfasi, avvolgendoti maggiormente, con meno ostilità, meno spigolosità. Il tannino è più saggio, meno scapigliato, il sorso nella sua totalità è educato, come una seta, non come il 2007 o il 2001, in cui la lingua prendeva le forme e i ricami del fustagno, con le sue trame e zigrinature. Il palato  viene accarezzato come con un guanto, e non continuamente sollecitato, sorso più rassicurante, sempre pieno e avvolgente.

L’annata è stata molto calda, anche perché la prima, di quello che poi sarà il cambiamento climatico.

Temperature elevate fino alla vendemmia, che ha portato a dei Barolo, ricchi di frutta, corpo e consistenza estrattiva.

Un contenzioso eno gastronomico Piemontese

Un attore del genere aveva bisogno di un partner di eccezione, sicuramente non uno sparring partner, e certamente non un avversario, ma un complice, un abile e nobile scudiero, altrettanto esperto del territorio, equamente conoscitore degli anfratti, degli umori, dei sapori delle Langhe.

I formaggi di Beppino Occelli, la “via lattea del Piemonte”. Stagionati, eroborinati, al castagno, al Barolo, tutte munizioni, per sorreggere la diatriba enogastronomica tra calice e piatto che si svolgerà e che darà senza dubbio frutti meravigliosi, figli della terra, figli del calore dei camini, dei noccioli che proteggono, delimitano, custodiscono i tornanti Piemontesi, figli della gente delle Langhe.

Tre nasi son quel che ci vuole per bere il Barolo

4 annate, 4 espressioni di Nebbiolo, 4 manifestazioni del territorio, 4 carezze alla propria storia, 4 tele diverse, con gli stessi colori, stessa tela, stesso artista, ma con ispirazioni diverse, con stimoli emotivi e esterni differenti.

Al termine della degustazione, dei gesti atletici che abbiamo sostenuto ho proprio pensato alle parole di Cesare Pavese tratte dal suo libro “il compagno” : “Tu sei giovane, Pablo, e non sai che tre nasi son quel che ci vuole per bere il Barolo”.

E’ proprio vero, forse anche qualche naso in più, sicuramente ci vuole concentrazione, silenzio, determinazione, volontà, per sradicare e decifrare il vino, che non ama le platee, il vino muto, che non fa gesti eclatanti per farsi notare, il vino ineducato e scorbutico, il vino aggressivo, il vino che urla senza clamori, quel vino che ti provoca un entalpia ordinata, ti sconvolge con la sua disinvolta convinzione, assenza seduttiva, presenza assuefacente.

 

 

 

 

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Sordo 100 anni di Barolo: Verticale Rocche di Castiglione

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