I luoghi comuni nel mondo del vino sono tanti.

I miti da sfatare sono un’infinità e riuscirci a volte, dimostra l’evoluzione della cultura enologica e delle competenze e conoscenze dei vignaiolo e degli addetti al settore.

Imbattendomi in piacevoli chiacchierate con tanti vignaioli, ho sempre più maturato la convinzione che il nostro tacco d’Italia abbia le capacità di dar vita a bianchi longevi.

Questa mia opinione, trova perfetto conforto quando Giancarlo Ceci, orgoglioso, fiero del suo lavoro mi chiede di assaggiare alcune sue vecchie annate.

Pronto, col fazzoletto attorno al collo, per non tingermi di eleganti macchie rosse, vedo con profondo piacere una luce dorata che mi acceca e mi appresto ad assaggiare vini bianchi Pugliesi con qualche anno sulle spalle.

Cosa è una verticale e qual’è il suo fine?

La verticale, ci porta alla mente gesti ginnici, di massima tensione e abilità.

Una verticale di vini, richiede tanta concentrazione e attenzione per chi la tiene e svela le capacità di longevità e le differenze evolutive di una etichetta.

Soprattutto, questo tipo di assaggio multiplo, quando i vini sono sinceri, territoriali, esperienziali, come le etichette di Giancarlo Ceci, è una perfetta bussola tra le annate dei vini, è una cartina tornasole dei gradienti pedoclimatici delle diverse stagioni vitivinicole.

Quindi degustare in verticale, vuol dire, in successione, bere la medesima etichetta di annate diverse, dalla più giovane alla più anziana, per scoprirne l’evoluzione, le potenzialità.

Come un funambolo, lungo il tralcio della vite, mi appresto a questa esperienza sensoriale, bevendo vini del Sud Italia, della mia Puglia, gongolante in pompa magna, partendo da una 2018 per terminare con una 2016 di un Bombino Bianco della zona di Castel del Monte.

Inziamo dal più pischello: Panascio 2018 Castel Del Monte DOC

Mi appresto, riscaldando le mie papille gustative a conoscere questo Bombino bianco di tre anni, soprattutto con tanta curiosità.

Mentre inizio a scrutarne i colori, le sfumature comunque ancora puerili, tra riflessi paglierini lucenti, penso al vitigno, alla sua buccia consistente, alle sue capacità produttive, alla sua genealogia di varietà da quantità, e mi inebrio di profumi freschi, agrumati, decisi, erbacei.

Il naso quindi pungente ed elegante, mi descrive un calice vivo, ancora decisamente scalpitante e soprattutto ricco, che denota abilità e notevoli potenzialità evolutive, con una giusta carica alcolica, non eccessiva, non invadente.

Avendo prima, preparato il mio palato con il Panascio 2019, in una mini verticale, ho potuto identificare toni e similitudini molto più marcate e intense nel calice più adolescente che si mostrava più aromatico, più intenso e generoso, con puntuali scorte di notevole freschezza che sicuramente nel riposo del vetro si declineranno con maggiore enfasi.

Questo primo paragone, anche se in uno spazio temporale ridotto, fornisce indicazioni, soprattutto conferma, nonostante non ce ne fosse bisogno, il rispetto e l’ascolto da parte del produttore della stagione e mi garantisce una degustazione espressiva e rappresentativa del territorio e del vitigno.

Infatti, chiedendo direttamente all’artigiano della terra, al caronte che ha portato il grappolo dal campo al calice, mi ha confermato di una 2018, in agro di Castel del Monte, equilibrata, con un’estate comparsa con più calma che ha permesso di arricchire le uve di una buona componente acida, carburante fondamentale da miscelare all’aromaticità esaltata da giuste escursioni termiche. La 2019 simile per certi versi, un pò più asciutta ha portato ad amplificare i toni aromatici pur conservando freschezza e dinamicità.

Proseguiamo col Panascio 2017, turbinio di erbacea consistenza

Già dalle tonalità intense e ancora vive, questo calice con carta d’identità 2017 vuole mostrarsi in gran forma, senza acciacchi, decisamente sferzante e scattante.

Il naso è esplosivo, notevolmente profumato, ma con una decisa freschezza, una nota piacevolmente amara di mandorla fresca, profumi acri di mandarino, specialmente in buccia e comunque col calore del girasole, del fieno, di una tonda e succosa albicocca.

Olfatto che trova perfetto riscontro in un sorso  polposo, dissetante, appagante, che nutre il palato, corazzato comunque da tanta struttura e tanta energica pienezza gustativa.

Le note dell’ ” autore” ci parlano di una 2017 come annata difficile, con aridità pluviali invernali e primaverili e con caldi intensi. Essere riusciti a dare origine ad un calice così equilibrato, ancora così verde, integrato e integro, dimostra capacità ed abnegazione.

Dall’annata più complessa, addirittura indicata come quella più articolata dell’ultimo ventennio, ho assaggiato il calice che mi ha colpito di più, che ha mostrato, forse rafforzato dalle cicatrici e dagli affanni in campo, più energia, più carica, immensa capacità evolutiva.

Questo mi spiazza, ma mi fornisce ancor più certezza che quando si lavora bene con capacità e competenza, dovendo rimboccarsi ancor più le maniche, si arriva sempre a risultanti eclatanti, sempre schietti, sinceri, genuini.

2016, i 5 anni che si sono liquefatti nel calice

Termino questa verticale, per nulla affaticato, anzi con l’animo tonificato e corroborato da questi assaggi di bianchi Pugliesi.

L’ultimo calice mostra un colore molto più deciso, più caldo e il naso dona tonalità ed effluvi mentolati, sublimi di uva leggermente appassita.

Quanto anelato nei profumi si ritrova nel gusto, integrato con una arancia rossa tanto succulenta e fresca.

Etichetta finale che mostra la sua saggezza, gli anni in più nel suo zaino vitivinicolo, comunque con una piacevole bevibilità, un buon equilibrio e una giusta anagrafe per l’assaggio.

Il diario climatico ed esperienziale del produttore, lascia appunti e ricordi di un’annata con piogge ripetute, per fortuna in periodi per la pianta gestibili ed estate calda senza eccessi che ha dato bianchi con ottimi risultati qualitativi.

I vini bianchi in Puglia possono essere attesi, se dietro c’è passione, competenza e collaborazione tra uomo e natura!

Chiudo gli assaggi e questa verticale, di questo vitigno forse meno conosciuto ma tanto talentuoso, molto contento e soddisfatto.

Ho potuto degustare e scrivere di un bianco della Puglia, di un’uva in letteratura ampelografica nota per doti produttive che ha mostrato qualità eccezionali.

Posso comunicare di bianchi della mia regione conosciuta per i rossi carichi, caldi, robusti e per i bianchi di facile beva e posso parlarne da un’altra prospettiva.

La mia curiosità ora scalpita, visto che Giancarlo, mi ha parlato di annate ancora più indietro con gli anni e ancora favolose, non mi resta che assaggiarli e degustarli in tutta la loro  nitida storia evolutiva.

 

 

 

 

 

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Giancarlo Ceci, Verticale di bianchi Pugliesi: si può!

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