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Viaggio nel tempo, tra storie, colture e culture in poche ore dal levarsi al calar del sole!
Dico sempre che fare vino è passione e vocazione e che nel calice, quando è genuino e sincero, si ritrova l’essenza del territorio e l’estro e l’anima del produttore.
I libri, i testi, ti insegnano molto, ma in campo, insieme ai vignaioli, impari tanto, soprattutto con artigiani del calibro di Paolo Patruno e della sua famiglia.
Una reale passeggiata a spasso nel tempo, tra covoni di grano narrati, erbe spontanee, alberi da frutto più o meno conosciuti e racconti visibili e tangibili di una vita di campo di un tempo che fu.
Ogni angolo descriveva attività di una vita di masseria del passato, dalle spigolatrici, donne curve tra i campi dorati di grano che lo consegnavano ai proprietari, ai pozzi costruiti in altezza per evitare che ci arrivassero le capre, dalle strutture che ritraggono i lineamenti e le architetture vissute, ai muretti a secco, potevi come in un film, riavvolgere il nastro di tempi trascorsi, humus e carta copiativa del presente, radicato e dipinto con i colori e le mani del passato.
Il Primitivo e la Verdeca, nobilitarli dal primo all’ultimo grappolo
Il sole di Settembre, giustamente caldo e carico che tinge di diverse sfumature ogni singolo acino dei vigneti che circondano la masseria, sembra accarezzare e coprire di premure le piante di vite, quasi coccolandole e sussurrandogli parole per rasserenarle.
In questa cornice bucolica, si staglia perfettamente la figura di Paolo, che con infinito orgoglio e passione, narra e descrive ogni singolo centimetro degli appezzamenti, dalle erbe aromatiche, agli alberi da frutto, ai tralci di vite, ai viticci e racemi del primitivo dotati e ricchi di eccellente e carica acidità e freschezza gustativa, giustamente distanziati tra loro e posizionati, per poter al meglio ricevere quello che la natura gli vorrà donare.
Il produttore è colui che cura le proprie terre, che conosce il suo suolo zolla per zolla, che cerca con tutte le sue forze di rinvigorirlo e di permettergli di esprimersi al meglio.
Il produttore vuole che il calice descriva i suoi paesaggi, la sua storia, i suoi alberelli, le sue terre rosse cariche e fertili, piene, soffici e porose, i suoi soffi freschi corroboranti e soprattutto i suoi vitigni, succo, estratto, concentrato del territorio.
Minuziosamente e con dovizia di particolari, Paolo, ci declina le capacità dei suoi alberelli, le abilità e potenzialità dei suoi tralci a spalliera, delle differenze in mineralità e aromaticità tra la zona alta e bassa dei suoi terreni, dimostra la sua piena padronanza e assoluta integrazione con le sue terre, con la sua storia e la competenza e amore che lo ha portato ad evolvere, a crescere, sempre usando come fondo, come substrato fertile ed essenziale, quel suolo che è l’ingrediente unico e fondamentale per produrre secondo natura e secondo memoria.
Tutto questo Paolo, la sua famiglia e la sua squadra, lo rappresenta alla perfezione e dopo aver assaporato i suoi calici e aver conosciuto la sua personalità roboante, istrionica e genuina, riesco a percepire perfettamente il suo pensiero e a ritrovarlo nel sorso dei suoi vini, sinceri, equilibrati, rappresentativi, pieni, ricchi, veri.
Durante l’escursione, sacco in spalla, Paolo, oltre a narrarci vita, morte e miracoli del Primitivo di Gioia con la sua dinamica eleganza, le sue raffinate movenze, il suo alcol necessariamente presente, ma mai sgarbato, ci parla, se è possibile, con ancor più trasporto della Verdeca.
Di un vitigno e di un vino con una storia non rappresentativa del suo calibro, un vitigno, sicuramente conosciuto, ma non utilizzato secondo le sue reali capacità.
Calice piacevole, semplice, esuberante, amabile, per accompagnare le tavole imbandite nei nostri campi, per rallegrare le domeniche, per alleggerire i pranzi quotidiani e componente di una denominazione ricca di storia, come la DOC Locorotondo.
Paolo, conscio delle abilità di questo vitigno, proprio come da lui esposto, ha visto la Verdeca come il grano, verdolino, acerbo, giovane alla nascita, per poi divenire dorato, carico, luminoso col passare degli anni e che si leva baciato dal sole, muscolare, muscoloso e orgoglioso.
Così vedeva la Verdeca e così la declina nel calice, piena, vigorosa, avvolgente, interminabile.
La cantina: laboratorio sano, splendente, lucente, punto di snodo vitale per giungere ad un vino di qualità
A questo punto, era d’obbligo trasferirci in cantina, altro passaggio della catena naturale che porta dall’acino alla bottiglia.
Sarà per deformazione professionale, vista la sua radice di Medico Chirurgo, sarà per la consapevolezza che la salubrità in campo ed in cantina, debba essere presente d imprescindibile, ci accingiamo delicatamente ad entrare nella “sala operatoria” di Paolo e della sua famiglia, per addentrarci nella produzione e per assaggiare il frutto di tanto lavoro e dedizione: vera somma finale e sostanziale delle fatiche e delle idee di un produttore.
Con la generosità, oramai testata e garantita, Paolo ci fa assaggiare oltre alle sue bottiglie ( alcune nel suo agriturismo, durante il luculliano, tradizionale ed interminabile pranzo Domenicale), i suoi esperimenti, i prossimi suoi figli, raccontandoci la loro filiera, i loro tempi di macerazione, la loro sosta eventuale in legno, la loro natura da alberelli o da spalliera, invitandoci a percepirne l’aromaticità, i profumi, le differenze, l’alcol, carta d’identità irrinunciabile per delineare l’istinto “primitivo” di questi vini e di queste zone.
Che sia Marzagaglia, Battagli0, 1821, Striale, Ghirigori, Lenos, saranno tutti frutto di una dedizione e di un rispetto estremo per il territorio, per il vitigno, per la loro storia, per le loro capacità, pensate e disegnate col pennello da Paolo e ritrovate nella tavolozza che è il calice.
Per me un contadino, un agricoltore, è quella persona umile, altruista, depositario di una conoscenza profonda ed inestimabile, che si può celare dietro fattezze differenti, ma che riconosci immediatamente, perchè ti arricchisce, perchè si apre, perchè si racconta per divulgare e tramandare.
Finisco questa splendida “scampagnata”, carico, inebriato dai profumi della terra, dalle narrazioni di un tempo andato, ma tanto presente, vivo e fondamentale.
Conclusioni di una giornata esperienziale, tra profumi, odori, sapori, sensazioni della terra
Insieme al calar del sole e al sopraggiungere di quel vento collinare, fresco, tonificante, indispensabile per gli acini che si arricchiscono di aromaticità e acidità, depongo penna e calice e continuo a sentire i pensieri di Paolo, le sue opinioni, le sue idee, sazio, ma non satollo di conoscenza e di aneddoti, di storie che ritroverò nei calici.
Ringrazio Stefano Rossano, amico, valevole ed estremo conoscitore di vini e viticoltori, che mi ha fatto conoscere Paolo, la sua famiglia, il suo essere e gli auguro le migliori fortune col ricordo di questo viaggio insieme, tra diverse età, anni e generazioni, quasi come nei fotogrammi di Film d’autore, e con la certezza che il viaggio che lo attende, sarà ugualmente arricchente, valido e straordinario, come quello trascorso inseme in quella Domenica di fine Settembre, tra la terra, nella terra, nelle nostre radici.