Un evento in cui non puoi confonderti, dove a ciclo continuo come i lieviti in tumultuoso e perpetuo fermento, la tua passione per il vino è costantemente dissetata e rinverdita.
Questi vignaioli li ho definiti 𝑐𝑜𝑟𝑎𝑔𝑔𝑖𝑜𝑠𝑖.
Bisogna aver tanta forza d’anima e sprezzo del pericolo per produrre vini del genere, in un territorio vocato, dove la quantità la fa da padrona e dove la velocità di consumo, tanto elevata e rapida, non ti darebbe modo di apprezzarne la qualità.
Invece questi vignaioli “impenitenti”, perseverano e producono un numero esiguo di bottiglie, emozionanti, appassionate, di valore estremo, dal carattere eccezionale.
Con estremo piacere vi racconto alcuni assaggi, con la certezza di aver perso delle occasioni, non potendo conoscere e approfondire 𝘧𝘪𝘯𝘰 𝘪𝘯 𝘧𝘰𝘯𝘥𝘰 tutte le aziende presenti a questo meraviglioso evento.
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L’antica Quercia, come iniziare col “piede” giusto!
In conversione biodinamica, biologica dal 2007, senza necessità di etichette e cataloghi, Claudio Francavilla, coltiva 20 ettari di vigne in coabitazione con altri 10 ettari tra uliveti e melograni, producendo vini visionari, eclettici, camaleontici.
𝘀𝘂̀ 𝗮𝗹𝘁𝗼 Glera allevata a doppio capovolto sul pendio di ponente della Quercia, che termina i suoi giorni prima dell’ingresso in commercio, per almeno quattro mesi
a 2000 metri ai piedi del Monte Civetta nel cuore delle Dolomiti.
Agile dinamico, fresco, succoso.
𝗔𝗻𝗰𝗲𝘀𝘁𝗿𝗮𝗹𝗲 totalmente assuefatto ai propri lieviti, in simbiosi naturale per un bere voluminoso, anticipato da profumi intensi, netti e decisi.
𝗠𝗮𝗰𝗲𝗿𝗮𝘁𝗼 elevare il prosecco con l’ausilio del legno, può sembrare oltre che azzardato, anche folle, data la sua neutralità, la sua identità di vino rapidamente fruibile, ma dove c’è impegno, dedizione e capacità, ne deriva un calice sinuoso, avvolgente, con una elegante freschezza e una compostezza regale.
Il climax è ascendente, si passa a Colline Guizzette, il prosecco rosè territoriale!
Che sarebbe stata una degustazione fuori dagli schemi, era chiaro, già dalle prime battute.
Si prosegue con Colline Guizzettte, in pieno territorio di Cartizze, 6 ettari di vigneti che originano vini espressivi, identitari.
Oltre al prosecco, ci imbattiamo, all’inizio prevenuti e titubanti, nel prosecco rosè, dove la glera non è affiancata dal Pinot, come una strada da disciplinare condurrebbe, ma dal territoriale, fresco, acido, Raboso.
La scelta, seppur commercialmente più ardua, è tecnicamente perfetta, perchè il vitigno con la sua complessità aromatica, e la sua fendente acidità si presta perfettamente alla produzione di un vino teso, pieno, tridimensionale nei profumi e al palato.
Corte de Pieri, gesti atletici, sforzi eroici, tensione e pressione col fondo, per epiche vittorie enoiche!
Il livello si alza sempre più e non c’è tappo scolmatore che regga, anche perchè non c’è alcuna voglia di togliere qualcosa, ma solo di proseguire.
Incrociamo lo sguardo di Emanuele Brusoferro, storico e intimo amico di Angelo de Pieri, vignaiolo eclettico e vistoso, che mi emozionano e colpiscono immediatamente.
I nomi dei vini, rappresentano al meglio le loro etichette.
𝗜𝗹 𝗱𝗿𝗶𝘁𝘁𝗼 𝗲 𝗹𝗮 𝗿𝗼𝘃𝗲𝘀𝗰𝗶𝗮𝘁𝗮 come rifermentati col fondo, che già nei nomi descrivono il loro essere.
Diretto, vincente, premiante il primo, sferzante e teso, mentre gesto più complesso, articolato e spettacolare il secondo.
Almeno 18 mesi di attesa carbonica per un vino di gusto, arricchito dalla placenta dei lieviti, che acquisisce talmente estratto che permette di farsi assaggiare anche a partire dal 2016, mantenendo una costanza, un equilibrio, una freschezza di un giovanotto.
Castello di Berton qualità, attenzione, vocazione!
La cosa bella provata durante questo turbinio di spuma carbonica è stato dover fermarsi a pensare che ero ad una degustazione di bolle col fondo, senza alcun tipo di difetto, senza anomalie, che l’immaginario comune pensa sia dovuto, con una carezza carbonica esteticamente perfetta, fine, persistente.
Nello specifico Castello Borton , vinificato nella massima attenzione del territorio ( la Valdobbiadene) e del vitigno per dare vita ad un calice preciso, aggraziato, avvolgente.
Bastìa brividi spumeggianti per una verticale di prosecco!
Quando pensavi di aver visto tutto, scorgi il volto consapevole di una produttrice che con empatia e con una forza invisibile ma tangibile, ti conduce al suo banco di degustazione, ed è lì che si scopre l’inaspettato: poter assaggiare la medesima etichetta del prosecco dal 2019 al 2016.
L’evoluzione, la capacità interpretativa di questo vitigno considerato incapace di evolvere, è strabiliante.
E’ evidente percepire la fendente parabola della bottiglia che trova nella 2017 una tonicità perfetta tra note erbacee di rosmarino, mandorla, mela verde, con notevole sapidità e freschezza.
Nel 2016 trovi un vino più saggio, maturo, concreto, dove la piacevolezza gustativa e olfattiva prende il sopravvento rispetto alla freschezza, comunque viva e presente.
Radicati nel territorio vocato, aderenti al progetto “col fondo agricolo”, attenti a ciascun centimetro di suolo, detentori di conoscenza, storicità e competenza, proveniente dalla terra.
Terre grosse mani testa cuore legate alla propria terra, ricerca, sperimentazione, evoluzione!
Vado nella comfort zone personale, dall’azienda visitata in lungo e largo il giorno prima, gli amici che mi hanno indicato questa fiera, che mi hanno permesso di andare nel paese dei balocchi delle bollicine.
Rifermentato col fondo da 𝑔𝑟𝑎𝑝𝑎𝑟𝑖𝑜𝑙, acido, citrico, floreale, in costante crescita olfattiva e gustativa, dalla freschezza fendente e prepotente.
Ancestrale da 𝑟𝑎𝑏𝑜𝑠𝑜, figlio dei propri lieviti, ghiotto, netto, colmo, deciso, dalla memoria gustativa caparbia, tenace.
Azienda che conosco bene, persone, vignaioli che con maniacale attenzione dei particolari ed estrema voglia di ricercare ed evolvere, studiano, approfondiscono, provano, desiderano riuscire a trarre l’essenza del vitigno e del territorio.
Alberto Lot, il finale perfetto, la giusta ciliegina di una torta golosa ed indimenticabile
Proprio gli amici di Terre Grosse, mi indicano il banco di Alberto Lot, garantendomi che non mi sarei pentito dell’assaggio.
Dritto come una freccia mi dirigo verso quei vini seguendo la mia bussola sensoriale e assaggio 𝑓𝑖𝑙𝑎𝑟𝑖 𝐺𝑖𝑛𝑒𝑣𝑟𝑎 2019 frizzante da Glera, che si esprime con generosa vena e una trama netta e concreta.
Azienda che, proprio come terre Grosse, coltivano e proteggono varietà resistenti, nel loro caso il Bronner che sicuramente con la cura, premura di Alberto e Giulia saprà esprimere tutto il suo ordito aromatico e la sua stoffa coriacea.
Pochissime bottiglie, tutte diverse ogni anno, che vedono il mercato solo se Alberto è convinto di quanto prodotto, solo se li reputa identitari, perfetti.
Permettersi di attendere, di rispettare le bizze del tempo, di rischiare, voler dipingere le vere pennellate di cui il vitigno e il terroir sono capaci, è realemnte un gesto impavido, totalmente meritevole, rappresentativo del valore umano delle persone che danno vita a queste etichette.
Inconfondibile imprevedibile fuori dagli schemi, indimenticabile!
Vini che non si possono intrappolare tra schemi, che si fanno solo rinchiudere nella possente massa dei propri lieviti, vini che rispondono solo alla legge della terra e del oro DNA.
Esperienza da vivere senza filtri, 𝑓𝑖𝑛𝑜 𝑖𝑛 𝑓𝑜𝑛𝑑𝑜, che ti dona energia, effervescenza non solo dovuta alla bolla, ma che sollecita l’animo, che ti fa capire cosa vuol dire avere coraggio, cosa si intende per legame, passione.
Quando un vino trasmette emozioni, ti dona un’esperienza, ti arricchisce, è un 𝑣𝑖𝑛𝑜 𝑏𝑢𝑜𝑛𝑜, cioè generoso, gentile, umile, sincero, vero, schietto, emozionante, che ti lascia un ricordo e che vuoi trovare e ritrovare, un vino che ti fa stare bene, il luogo prescelto, la zona 𝑐ℎ𝑒 𝑛𝑜𝑛 𝑓𝑎 𝑐𝑜𝑛𝑓𝑜𝑛𝑑𝑒𝑟𝑒 la testa e il cuore!