A Grottaglie, non lontano da Bari, mi giunge voce che il 26 e 27 Gennaio si tiene la seconda edizione di questo manifesto integrale ed integralista dei vini naturali.
Non potevo mancare, come una bolla esplosiva e fendente, mi sono fiondato e mi sono trovato catapultato nel paese dei balocchi, per i bevitori incalliti e consapevoli: un parco giochi delle emozioni, tra sali scendi sensoriali, secchi, diretti, senza fronzoli e troppi giochi di parole.
58 aziende, 58 artigiani della terra, vignaioli sinceri e scapigliati, senza paradigmi e dogmi prefissati, solo traduttori delle parole e del linguaggio della terra e della pianta.

Senza troppa vergogna ammetto di essermi trovato, nel più totale imbarazzo nel dover scegliere solo alcuni di questi straordinari produttori, visionari o forse solo portatori sani di atavici rimedi e metodi di trattare e valorizzare la terra: reale epicentro, radice del frutto vino.
In questa ardua scelta e obbligo di “selezione” in un universo dove l’imprevedibile non è temuto, ma anzi è quasi ricercato e atteso, vi racconterò i miei assaggi.
Assaggi, naturali, assaggi che non temono il tempo, l’ossigeno, il giudizio, assaggi dove tutto è utile, dove il sorso è sinergico, dove ogni tassello è necessario per comporre il puzzle del calice, dove ogni componente è facente parte dell’essenza finale.

Assaggi guidati e orientati dalla curiosità, a volte dalla conoscenza e voglia di bere alcuni vignaioli, ma dalla certezza che ovunque il mio sguardo e il mio palato fosse caduto, sarebbe caduto in piedi, certamente assistendo ad una grande esperienza sensoriale ed emotiva.

Pantun: si inizia già con le munizioni pesanti

Ci ricevono Mimmo e Jutta, quasi in disparte, con gli occhi desiderosi di farci provare i loro esperimenti, i loro vini, il frutto del loro lavoro di contadini della terra.
Pieni di entusiasmo, colmi di voglia di condivisione e di confronto, come vinacce in fermentazione, ci fanno assaggiare una batteria di vini, non infinita ( visto il numero volutamente ridotto di etichette) ma di qualità, genuinità, onestà estrema.
Assaggiamo le prove di vasca della Verdeca e del Greco.
Mimmo ci racconta come gestiscono entrambe le varietà, come la Verdeca “svuoti il greco” determinando una panacea sensoriale curativa e terapeutica, fuori da ogni schema. Le prove di vasca del Primitivo rifermentato che andrà a Primavera a rinvigorire d’intensità e potenza, l’intera massa “enoica”.
Ci fa deliziare occhi e anima con l’ombra del rosato, delicato, apparentemente esile, raccolto alle prime ore del mattino, depositarie come la tradizione popolare ci insegna di aurea consistenza ed opportunità, dove il primitivo si presenta elegante, silenzioso, tonico ma non muscolare, discreto ma comunque carico. Ovviamente e necessariamente, nel rispetto della vinificazione Mimmo, sottolinea la diversità cromatica e strutturale di questo rosato, rispetto a quello della precedente annata.
Tocca poi al Primitivo, in una versione aggressiva, tagliente, verde, tannica, che non ti aspetti, per terminare con il Pantun 2017, già più Primitivo, più accogliente, più morbido, sempre corazzato dalla vigorosa e insolita astringenza che sollecita notevolmente il palato.
Visto l’inizio, mi sono rallegrato e siamo passati al successivo produttore con infinite aspettative, trascinati dall’ingordigia del sapere.

Sergio Arcuri: l’emozione della sorpresa, l’abitudine al timore

In questo caso, la scelta non è stata fortuita, ma decisamente voluta. Conoscevo Sergio e avevo voglia di incontrarlo e sentirlo ed è stato proprio come me lo aspettavo e come lo immaginavo.
Ricco di contenuti, determinato, legato a doppio filo alla terra, ai suoi autoctoni, ai figli del territorio, ai residenti del suolo, convinto che la natura sia l’autrice fondamentale dello splendido testo che è il suo vino.
Il climax di questa serata “originale” cioè di “origine garantita” è sicuramente ascendente, e quindi abbiamo dovuto seguire alla lettera, l’invito scritto nella sua prima etichetta assaggiata: “libera i sensi”.
Greco bianco, già pulito, limpido dalla vasca, come detto da Sergio, avvolgente, caldo, vissuto anche se giovane.
Dal Greco si passa all’autoctono Calabro, per eccellenza: il Gaglioppo, in versione rosata da terreni eterogenei, mescola di tessiture differente (sabbia, argilla, limo, ghiaia), perfetta somma algebrica di addendi diversi.

Alberelli di un territorio che va tutelato, non perso, come espresso direttamente da Arcuri, che ci confida, senza sussurrarlo, che il Gaglioppo ha bisogno di tempo e impettito e quasi commosso ci fa osservare dal cellulare i suoi albereli, quasi dispiaciuto di non poterceli far toccare e vedere dal vivo.
Nella versione rosata si manifesta goloso, succulente, rinfrescato anche da note agrumate e acide che ne incrementano il sorso e la sua sosta e ricordo al palato.
Da li, il passaggio al Gaglioppo in purezza: Aris 2016, con la trama antocianica scarica identitaria, ma acceso, vivo, presente gia all’occhio, che al gusto sbobina una enorme succosità, appagante, notevole, tannino presente, non egemone, giustamente adatto al contesto globale del sorso, reso maggiormente vibrante, teso, decisamente interessante.
Prima di giungere all’ultimo assaggio emerge la disarmante semplicità del vignaiolo schietto, sincero, genuino, che ci racconta che anche le bottiglie, oltre che il vino, affinano in vasche di cemento, che le isolano termicamente e da scomodi rumori esterni.
Ci racconta di dover gestire l’evoluzione del vino, anno per anno, l’adrenalinica attesa, il fascino dell’ignoto mutamento, la carica emotiva della mutevole sorpresa, che solo un vino figlio del tempo e dell’annata è in grado di donare.
Ci descrive la parabola evolutiva del Gaglioppo, fruttato il primo anno e già carico, intenso, fortemente terziarizzato già dal secondo anno.
Per l’appunto terminiamo con la Riserva 2013, sempre tipico nel colore, che denota comunque tonalità evolutive, ghiotto e carico al palato.

Insolente: Idea insolente, “naturale conseguenza” del processo ciclico e sinergico chiamato vita

L’educazione, le buone maniere, il galateo, l’etichetta, qui non serve, qui bisogna solo farsi rapire dalla frenesia tumultuosa, coinvolgente e contagiosa di Luca.

Nessun timore, spavaldo, orgoglioso della sua terra “soave” condivide con noi i suoi vini, il suo territorio, la sua voglia di stupire e stupirsi, partendo da una materia prima di estrema qualità, elevandola con esperimenti apparentemente empirici, ma pensati e congeniali per rispettare e dipingere le potenzialità del suo territorio.

Primo assaggio Garganega rifermentata col mosto del recioto: non solo acido e pungente ( non certo per la spuma carbonica), ma anche carezzevole, gentile e a modo, ovviamente lungo, data la miscela tra freschezza e morbidezza.

Dopo la Garganega, è la volta del Pinot Grigio rifermentato nel vivace e amabile carburante nobile del recioto, che conferisce un colore acceso, più che ramato ed una spuma regolare, persistente e sinuosa.

Poi sempre la buccia di cipolla del Pinot Grigio, viene vinificata, diciamo in rosso con bucce e senza timore, anche con i verdi e scorbutici raspi, dando profumi freschi, esplosivi di frutta rossa, mora, lampone, cannella, tutto incorniciato, impreziosito dal virile sottobosco .

Tra i diversi assaggi, Luca aprendo i suoi vini, senza l’ausilio dell’ “antico” cavatappi, ma solo con una agile rotazione del polso, girando il tappo a vite, che protegge i suoi vini, descrive questa scelta, sicuramente non legata al timore dell’ossigeno.

Ci confida, (questo è il bello di questi momenti, dove i produttori si aprono totalmente, come un buon calice di vino),  che il vino naturale, il vino di qualità, il vino caratteriale e caratterizzato, non vede l’ossigeno come un nemico, come un ostacolo, ma come un’opportunità, come un valevole complice, un sincero giudice del lavoro svolto, che eleverà e amplificherà il vino valoroso e smaschererà il vino debole e menzognero.

Assaggiamo poi la Corvina e la Rondinella del 2018, gentile, poco nervosa e ruggente, dal tannino compito e la Garganega vinificata in rosso, che ha trascorso una lunga storia di convivenza e di amore, con le bucce, pari al tempo di fermentazione, che conferisce una beva asciutta, decisa, tesa come una spada, ma comunque piacevole e generosa.

I calici si susseguono, il dialogo è incalzante e dissetante e piacevole, quanto i bicchieri.

Luca si racconta e le sue narrazioni, evolvono, proprio come una buona bottiglia, mutano, aumentano di interesse e di particolari, ci invita a percepire i profumi, a estrapolare note affumicate, note dominanti, in vini depositari della natura e della vita, ci parla a voce e nel calice anche del Durello, della sua fragranza netta, austera, diretta.

Ci fa assaggiare tutto, si espone totalmente, ci invita a esprimere il nostro parere, anche su quei vini anticonformisti come una versione di Garganega, dove l’equilibrio, la compostezza, il galateo sensoriale, lascia il posto alla sfrontatezza, all’attivismo acido, a volte quasi ardito, sicuramente audace, imprevedibile, ma per questo seduttivo e che nella sua indipendenza e libertà espressiva, crea dipendenza.

Macchiarola: il richiamo della natura non ha età

Ci accoglie Domenico, con l’ardore, l’educazione, l’ospitalità che ha contraddistinto tutti i vignaioli di questa bellissima manifestazione: felici, orgogliosi, vogliosi di far assaggiare i loro vini, fieri dei loro prodotti e desiderosi di ascoltare le opinioni degli “avventori e viandanti” che trovano nel loro cammino e che ospitano nelle proprie case, nelle loro vigne, nei loro filari, inerbiti, liberi, potenti.
Bizona, per iniziare: Primitivo da vendemmia anticipata, acino intero, 8-10 giorni sulle bucce, producono un sorso freschissimo, inaspettato, difficile da collocare nella primitiva opulenza del nostro primativo.
Uno di noi 2017, sempre più severo e fermo rispetto al Primitivo a cui siamo abituati, ma che apre a sensazioni più morbide, come ciliegia e cacao, ma sempre combinati al verde rasposo e alla acida e stridente succosa nespola. Pennellate cromaticamente diverse che garantiscono un quadro concreto e per nulla astratto, certamente una macchia da guardare da varie prospettive e diversi punti, per vederla e recepirla sempre differente, versatile, poliedrica, ma sempre bella ed entusiasmante.
Terminiamo con Don Franco, il Negroamaro sempre dalla beva fresca, imperturbabile, decisa e al naso e al palato declina note morbide di vaniglia.

Enoz: la via appia del primitivo che unisce le regioni e i primitivi

Potere sano dei social, ci si vede e ci si riconosce dopo essersi inseguiti mediaticamente per tanto tempo.
Dal velluto è sfoderato il Primitivo 2018 dopo 9 mesi in anfora e fermentazione spontanea: anche questo meno opulento rispetto ai primitivi delle calde terre Pugliesi, dal tannino sferzante e sorprendente, equilibrato dalla tipica e rappresentativa marasca, prugna e sintonie di frutta rossa.
Come tra parenti, cercando di ripercorrere l’albero genealogico che ci unisce, i gradi di parentela, la storia di avi che utilizzavano i porti per attraversare i mari, lasciando in eredità tracce di DNA che univano territori e famiglie, godiamo della piacevole beva di un vino agile e potente allo stesso tempo, correttamente salvaguardato dalla diligente anfora e reso esplosivo dalla spontaneità ed esuberanza dei lieviti indigeni e per nulla indigenti, anzi ricchi, pieni, rigogliosi.

Barracco Francesca, selvaggio, impervio, possente, sinceramente generoso.

Sul calar della sera e delle tenebre e con l’arbitro cinico ed indulgente, pronto a decretare il triplice fischio finale di questa splendida e avvincente partita, chiediamo un po’ di recupero e assaggiamo i vini Palermitani di Barracco Francesca.
Catarratto 2018 macerato e non filtrato, buccia spessa e cervello fino, come i più nobili e umili contadini, detona al palato e al naso con crosta di pane, albicocca matura degno del miglior metodo classico.
Catarratto 2017: colore orange, vendemmia leggermente anticipata per il sol leone Siculo e il risultato è nuovamente dionisiaco: caramello, nocciole tostate, con la giusta commistione ed influenza acida, fresca, lungimirante e perdurante.
Terminiamo gli assaggi col Nero d’Avola, dal rubino accecante e compatto, da 15 giorni di macerazione, per avere un sorso ancora non completamente saggio ed equilibrato, ma sicuramente foriero di una carriera lunga e fulgida.

5 e 30 l’orario del risveglio contadino, l’orario del lavoro nei campi, l’orario del fragoroso silenzio operaio ed operativo

Termino questa carta vini, naturale e naturalistica e bucolica, con un accenno a due ragazzi, Emanuela e Giovanni che con mezzo ettaro a Putignano con al loro arco tanta voglia e dedizione e sapienti alberelli di sessant’anni, si lanciano senza paracadute dei prodotti di sintesi, facendoci assaggiare Spaccamurgia, rosato da Primitivo.
Effluvi balsamici di eucalipto, pienezza gustativa, tanto da raccontare e sicuramente tanto da fare, per questi due giovani forse un po’ folli e temerari, ma sicuramente valevoli e con un futuro “naturalmente” strepitoso.

Evoluzione naturale la mano dell’uomo come corollario della natura, prolungamento delle radici e dell’essenza del suolo

Ringrazio Ciro Cavallo e tutti coloro che hanno permesso la realizzazione di questa manifestazione fenomenale. Ringrazio anche Michele Cavallo, col quale abbiamo vissuto con estrema “naturalezza” ,questa esperienza banco per banco, assaggiato questi vini strepitosi, abbiamo conosciuto solo alcuni di questi fenomenali vignaioli, abbiamo sentito storie, condiviso idee, abbiamo arricchito il nostro bagaglio emozionale, sensoriale, emotivo, abbiamo toccato con mano la natura, integra, florida, poderosa, potente, schietta.

Vado via, realmente col cuore colmo e con la convinzione che non debbano esistere paletti, definizioni, limiti, confini, ma che quando a parlare è la terra per mezzo dell’uomo, il calice sarà sincero, autentico, emozionante e l’emozione non ha canoni, non ha bandiere, non ha dogmi, l’emozione la si sente, rimbomba nella cassa armonica del nostro essere e rende un assaggio, un momento da memorizzare, archiviare, custodire nel proprio cuore e nella propria mente.

Quando un vino non deriva dalla catena di montaggio delle azioni meccaniche, dagli automi e automatismi di ricette standard, ma proviene dalla testa del vignaiolo a contatto con la natura, con gli stimoli e gli input che gli fornisce, con le impervie ostilità di un suolo tenace o di una stagione complessa, è lì, che avremo un prodotto strepitoso, completamente correlato con la natura, in perfetta simbiosi con il ciclo della pianta: avremo un vino diverso, stagione dopo stagione, attimo dopo attimo, bottiglia dopo bottiglia, etichetta dopo etichetta, diverso, inaspettato, insolito, non “selezionato” e per questo emozionante ed indimenticabile.

 

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Evoluzione naturale: contro la catena di montaggio delle emozioni standardizzate

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